Guardando la lattina di una bibita, o alcuni infissi di casa, non penseremmo certo che abbiamo davanti uno dei metalli considerati più preziosi e costosi intorno alla fine dell’800, più dell’argento, dell’oro e del platino.
“Benché i metalli siano tutt’altro che facili da convertire rapidamente in denaro liquido senza perdite, essi sono sempre stati una delle più stabili fonti di ricchezza nel lungo periodo. Non deve trattarsi necessariamente di oro o di argento. Se consideriamo il prezzo medio al grammo, il più prezioso tra gli elementi che si possono acquistare oggi sui mercati è il rodio. (Ecco perché nel 1979 il Guinness dei primati volle omaggiare Paul McCartney con un disco di rodio in onore del suo primato assoluto di vendite – un disco di platino non sarebbe bastato).
Ma nessuno ha fatto tanti soldi, e in così breve tempo, con un elemento della tavola periodica quanto il chimico americano Charles Hall con l’alluminio.
Per tutto il XIX secolo, un buon numero di brillanti scienziati si sono dedicati anima e corpo all’alluminio. Un chimico danese e un tedesco riuscirono quasi contemporaneamente a isolarlo attorno al 1825, separandolo dall’allume, un astringente ed emostatico noto da lunga data. Poiché si presentava argenteo e scintillante, fu subito classificato come metallo prezioso, nella stessa classe di oro e platino, dunque molto costoso.
Vent’anni dopo un chimico francese inventò un modo per rendere più efficiente la produzione di alluminio, che divenne una merce di scambio disponibile sul mercato. Certo, per chi se lo poteva permettere: era più caro dell’oro. Nonostante si tratti del metallo più diffuso nella crosta terrestre (di cui costituisce circa l’8 per cento in peso, centinaia di milioni di volte più dell’oro), l’alluminio non si presenta mai in forma pura, ma sempre legato a qualche altro elemento, di solito l’ossigeno. Riuscire a ottenere un campione di alluminio puro era considerato un miracolo.
I francesi esibivano lingotti di alluminio degni di Fort Knox a fianco dei loro gioielli della corona, e l’imperatore Napoleone III riservava nei banchetti ufficiali un servizio di posate di alluminio agli ospiti di riguardo (gli altri dovevano «accontentarsi» di forchette e coltelli d’oro). Nel 1884 il governo americano, per mostrare la potenza industriale della nazione, fece collocare sulla sommità dell’obelisco monumentale dedicato a George Washington una piramide di alluminio pesante tre chili. Secondo i calcoli di uno storico, trenta grammi di quell’alluminio sarebbero bastati a pagare una giornata di lavoro di tutti gli operai che avevano costruito il monumento.
L’alluminio regnò incontrastato per sessant’anni sul trono del metallo più prezioso, fino a quando un chimico americano non lo fece cadere dal suo piedistallo. Le sue proprietà – leggerezza, resistenza, lucentezza – erano molto allettanti per gli industriali, e la sua onnipresenza nella crosta terrestre prometteva di rivoluzionare l’intero settore metallurgico. L’alluminio era una vera ossessione, ma nessuno era mai riuscito a trovare un modo efficace per separarlo dall’ossigeno. Frank Fanning Jewett, professore di chimica all’Oberlin College, nell’Ohio, raccontava ai suoi studenti che il primo a dominare quell’elemento sarebbe diventato ricco come lo scopritore di un nuovo Eldorado. E almeno uno di loro fu abbastanza ingenuo da crederci e provarci sul serio.
Mentre studiava all’Oberlin College, Hall lavorò incessantemente con Jewett sulla separazione dell’alluminio. Inanellò una serie di insuccessi, ma ogni volta si avvicinava sempre più alla soluzione. Finalmente, nel 1886, fece passare una corrente prodotta da accumulatori artigianali (non c’erano ancora le linee elettriche) in una soluzione contenente alluminio, e l’energia fu sufficiente a liberare il metallo, che in pochi minuti precipitò sul fondo del recipiente sotto forma di pagliuzze. Un procedimento economico e facile da eseguire, oltre che estendibile a scala industriale. Era il tesoro più cercato della chimica dall’epoca della pietra filosofale, e Hall l’aveva trovato. Il «piccolo genio dell’alluminio» aveva appena ventitré anni.
La sua fortuna non fu però immediata. Anche Paul Héroult, in Francia, era arrivato a identiche conclusioni più o meno nello stesso periodo (oggi infatti Hall e Héroult condividono la paternità della scoperta che fece crollare il mercato dell’alluminio). Nel 1887 l’austriaco Carl-Joseph Bayer inventò un altro processo di separazione, e Hall, pungolato dalla concorrenza, fondò a Pittsburgh quella che sarebbe diventata la Aluminum Company of America (Alcoa) – una delle imprese più lucrose della storia.
La produzione di alluminio dell’Alcoa crebbe a ritmo esponenziale: da circa 22 chili al giorno nei primi mesi del 1888 a 40 tonnellate nel 1908, appena sufficienti a soddisfare la domanda. I prezzi, ovviamente, crollarono. Grazie a un avanzamento tecnologico avvenuto prima della nascita di Hall, le quotazioni alla borsa merci di Chicago erano scese da 550 dollari alla libbra a 18. Cinquant’anni dopo, a prezzi correnti, cioè senza tener conto dell’inflazione, l’Alcoa lo vendeva a 25 centesimi la libbra. Un’evoluzione così rapida si è riscontrata, probabilmente, solo in un altro caso nella storia americana: la rivoluzione dei semiconduttori al silicio, ottant’anni più tardi.
Come i moderni signori del software, Hall diventò spaventosamente ricco. Quando morì nel 1914, aveva un patrimonio personale in azioni Alcoa pari a 30 milioni di dollari (circa 650 di oggi). Grazie a lui, l’alluminio è diventato il metallo terribilmente comune che tutti conosciamo, presente in mille oggetti, dalle lattine agli aeroplani, ma se ne sta ancora, un po’ anacronistico, anche sulla sommità del monumento a Washington.”
Fonte: Sam Kean – Il cucchiaino scomparso.
Nella Foto: Tecnici in giacca e cravatta restaurano la piramide di alluminio sulla sommità del monumento a Washington. (Bettman/Corbis).