Le briciole di Einstein.

Mentre una nuova generazione di strumenti inconcepibili negli anni Venti (satelliti, laser, computer, nanotecnologie, rilevatori di onde gravitazionali) sonda i confini estremi del cosmo e l’interno dell’atomo, le intuizioni e le ipotesi di Einstein valgono ancora Premi Nobel ad altri scienziati. Anche le briciole cadute dalla sua scrivania riescono ad aprire nuove prospettive scientifiche. Il Premio Nobel del 1993, ad esempio, è stato assegnato ai due fisici statunitensi Joseph H. Taylor e Russell A. Hulse per aver confermato indirettamente la presenza delle onde gravitazionali che Einstein aveva già intuito nel 1916, analizzando il moto di un sistema di due stelle di neutroni. I tre astrofisici Eric A. Cornell, Wolfang Metterle e Carl E. Wieman sono ststi insigniti del Premio Nobel 1995 per la fisica per aver provato l’esistenza dei condensati di Bose-Einstein, un nuovo stato della materia vicino allo zero assoluto che il fisico aveva già teorizzato nel 1924.
Altre sue supposizioni sono in corso di verifica. I buchi neri, un tempo considerati un aspetto bizzarro della sua teoria, oggi sono stati individuati dal telescopio spaziale Hubble e dal radiotelescopio Very Large Array. Gli anelli e le lenti di Einstein non solo hanno trovato effettivo riscontro, ma sono diventati strumenti essenziali di cui gli astronomi si avvalgono per misurare oggetti invisibili nello spazio cosmico.
Anche gli “errori” di Einstein sono stati riconosciuti come notevoli contributi alla nostra conoscenza dell’universo. Nel 2001, gli astronomi hanno trovato prove convincenti che la costante cosmologica, ritenuta il più clamoroso abbaglio dello scienziato, racchiude invece la più grande concentrazione di energia nell’universo e determinerà il destino ultimo del cosmo stesso. Moltiplicando le prove di verifica delle sue intuizioni, la sperimentazione ha permesso così un “Rinascimento” dell’eredità di Einstein.
La teoria incompiuta del campo unificatoe la sua trentennale ricerca di una “teoria del tutto” non sono in alcun modo da considerarsi dei fallimenti – anche se solo di recente si è riusciti ad ammetterlo. I suoi contemporanei la reutavano una ricerca insensata. Il fisico e biografo di Einstein Abraham Pais ha scritto con rimpianto: “Negli ultimi 30 anni della sua vita rimase attivo nella ricerca, ma la sua fama sarebbe rimasta intatta, anzi, si srebbe forse addirittura accresciuta, se invece fosse andato a pescare”. In altre parole, la sua eredità sarebbe stata ancor più preziosa se avesse abbandonato la fisica nel 1925 invece che nel 1955.
Eppure, nell’ultimo decennio, con l’avvento di una nuova teoria, detta “teoria della supercorda” o “teoria M”, la comunità scientifica ha rivalutato l’ultima fase del lavoro di Einstein e il suo lascito complessivo, dato che la ricerca intorno alla teoria del campo unificato ha assunto un ruoo centrale nel mondo della fisica. La corsa all’elaborazione e alla definizione di una deoria del tutto è duvenuta il fine ultimo di un’intera generazione di scienziati giovani e ambiziosi.
L’unificazione, che un tempo si considerava il luogo di sepoltura delle carriere dei fisici più anziani, oggi è assurta a tema dominante della fisica teorica.
Dunque, come dovremmo rivalutare il vero lascito di Einstein?
Invece di dire che dopo il 1925 sarebbe stato meglio che fosse andato a pesca, forse potremmo dedicargli un tributo più appropriato.
“Tutte le conoscenze fisiche a livello fodamentale sono racchiuse in due colonne portanti della fisica, la relatività generale e la teoria dei quanti. Einstein è stato il fondatore della prima e il padrino della seconda, e ha aperto la strada per la loro possibile unificazione.”
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