«C’è una sorta di soddisfazione artistica quando siamo in grado di osservare l’enorme ricchezza della Natura come un tutto regolarmente ordinato – un kosmos, un’immagine del pensiero logico della nostra mente».
(Hermann von Helmholtz)
Il 31 agosto del 1821 nasceva a Potsdam, in Germania, il medico e fisico Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz, ricordato per i suoi contributi alla formulazione della legge di conservazione dell’energia e per le sue scoperte nell’ambito della fisiologia della visione e dell’udito.
Figlio di August Ferdinand, un insegnante di scuole medie, e di Caroline Penne, Hermann era il maggiore di quattro fratelli. La madre era una discendente di William Penn, il fondatore della Pennsylvania.
Hermann mostrò sin da ragazzo una grande passione per la fisica ma i suoi genitori non potevano permettersi di farlo studiare all’università. Fu così che decise di dedicarsi agli studi medici, per i quali erano previste delle borse di studio.
Nel 1842 Hermann si laureò in medicina con una tesi sulla struttura del sistema nervoso, nella quale annunciava la sua prima importante scoperta. In essa venivano infatti descritte per la prima volta le cellule dei gangli nervosi, ovvero dei noduli di forma rotondeggiante dai quali si diramano le fibre nervose e che fungono da punti di collegamento tra le diverse strutture neurologiche del corpo, come il sistema nervoso periferico e centrale.
Dopo la laurea Helhmoltz dovette svolgere il servizio militare obbligatorio. Durante questo periodo in cui servì come chirurgo l’esercito prussiano eseguì anche alcuni esperimenti sulla produzione di calore durante le contrazioni muscolari e cominciò ad interessarsi al principio di conservazione dell’energia.
Questa legge può essere enunciata in modo semplice affermando che esiste una grandezza, chiamata energia, la quale può essere trasferita da un corpo ad un altro e trasformata da una forma ad un’altra mentre la sua quantità totale rimane costante.
La legge di conservazione dell’energia si è sviluppata in un lungo periodo di tempo durante il quale è stata soggetta a crescenti generalizzazioni, fino a raggiungere, intorno alla metà del XIX secolo, un ruolo centrale non solo per la fisica ma per la scienza in generale.
Per questa ragione è impossibile attribuirne la scoperta ad una singola persona. Helmholtz fu, insieme a Julius Robert von Mayer, James Prescott Joule e Sadi Carnot, uno dei principali protagonisti di questo importante risultato.
Nel 1847 pubblicò infatti un saggio dal titolo “Über die Erhaltung der Kraft” (“Sulla conservazione della forza”). Questo lavoro, che segna il debutto di Helmholtz in fisica, è uno dei più solidamente strutturati sull’argomento e fornisce numerosi esempi tratti dalla meccanica, dalla termologia, dall’elettrologia e dalla chimica.
Nonostante l’uso del termine “forza” invece di “energia” – la nomenclatura a riguardo non era ancora stata ufficializzata –, il piccolo saggio di Helmholtz si rivelò fondamentale e ricevette numerosi apprezzamenti, tra cui quello di James Clerk Maxwell.
Grazie al suo straordinario talento per la ricerca scientifica, Helmholtz venne congedato in anticipo dal servizio militare e, nel 1848, divenne professore di fisiologia a Königsberg.
Nel 1849 sposò Olga von Velten, conosciuta due anni prima ad una serata a casa di amici di famiglia. La coppia ebbe due bambini: Richard e Ellen Ida Elisabeth. Richard ricorderà che al padre «dava sempre grande piacere mostrarci qualche fenomeno naturale».
Nello stesso anno Helmholtz realizzò la prima misurazione della velocità di propagazione degli impulsi nervosi. La maggior parte degli studiosi all’epoca riteneva che i segnali nervosi si muovessero lungo i nervi a velocità altissime e non misurabili.
Helmholtz ottenne che il valore della loro velocità è compreso nell’intervallo tra 24,6 e 38,4 m/s. Questo significa che qualsiasi nostra percezione che consideriamo “in tempo reale” ha sempre un piccolo ritardo.
L’anno successivo inventò l’oftalmoscopio, ovvero lo strumento utilizzato dagli oculisti per l’esame della retina. Prima di questa invenzione era impossibile esaminare la parte posteriore dell’occhio in un soggetto vivo.
Poco tempo dopo realizzò un altro importante strumento: l’oftalmometro. Grazie a questo dispositivo fu possibile studiare i raggi di curvatura del cristallino e spiegare il meccanismo dell’accomodazione, ovvero il processo grazie al quale l’occhio mette a fuoco le immagini.
Nel 1855 si trasferì a Bonn come professore di fisiologia e di anatomia. L’anno successivo pubblicò il suo “Handbuch der physiologischen Optik” (“Manuale di ottica fisiologica”), considerato uno dei testi fondamentali dell’oftalmologia.
In quest’opera compare anche il primo modello accurato dell’occhio umano. Il modello realizzato dall’oftalmologo svedese Allvar Gullstrand a partire dal modello di Helmholtz è quello usato tuttora.
All’inizio del 1859, lo scienziato dovette far fronte a due lutti, quello del padre e quello della moglie Olga, poco più che trentenne. Helmholtz cadde in una profonda depressione ma riuscì a riprendersi grazie al sostegno degli amici e delle attività intellettuali.
In questo periodo, infatti, Helmholtz svolse importanti ricerche sull’udito (scoprendo e descrivendo il meccanismo degli ossicini dell’orecchio), sull’acustica (inventando il cosiddetto risonatore di Helmholtz per analizzare i suoni) e sulla percezione dei colori.
Nei suoi studi di fisiologia, Helmholtz sosteneva che il funzionamento del corpo umano poteva essere spiegato in termini di fenomeni fisici e chimici. Questa sua posizione influenzò le vedute di molti biologi.
In seguito lo scienziato conobbe Anna von Mohl, scrittrice e traduttrice di opere scientifiche, oltre che donna di grande cultura e intelligenza. Hermann e Anna si sposeranno nel 1861.
Nel 1871 si trasferì a Berlino per assumere la guida del più grande Istituto di fisica tedesco e divenne così influente da ricevere il soprannome di “cancelliere delle fisica”.
Nel 1882 produsse un saggio sulla termodinamica dei processi chimici nel quale presentò per la prima volta il concetto di energia libera, una grandezza usata in termodinamica per prevedere la spontaneità delle reazioni.
Nel 1891 l’imperatore Guglielmo II concesse allo studioso un titolo nobiliare e con questo l’uso del “von” a precedere il cognome.
Secondo Mihajlo Pupin, uno degli allievi di Helmholtz a Berlino, «dopo Bismarck e il vecchio Imperatore, Helmholtz era a quell’epoca l’uomo più illustre dell’Impero germanico».
Attivo fino all’ultimo, Hermann von Helmholtz si spense l’8 settembre del 1894 all’età di settantatré anni in seguito alle complicazioni di un’emorragia cerebrale causata da una caduta dalle scale.
Oggi il suo nome è ricordato in ambiti talmente disparati che si potrebbe facilmente pensare che si tratti di personaggi omonimi. Basti pensare alle bobine di Helmholtz, all’instabilità di Kelvin-Helmholtz in fluidodinamica e al legamento di Helmholtz nel nostro orecchio, oltre alla già citata energia libera e al risonatore.
Il talento poliedrico di Helmholtz lo colloca infatti in una categoria a sé stante tra gli scienziati del XIX secolo e non solo, vicino a geni universali come Leonardo da Vinci e Gottfried von Leibniz.
Bibliografia:
- Hermann von Helmholtz, Science and Culture: Popular and Phlosophical Essays,The University of Chicago Press, 1995;
- Emilio Segrè, Personaggi e scoperte della fisica classica, Mondadori, 1996;
- Chu Luan Nguyen, Jean-Paul Wayenborgh, Hermann von Helmholtz: The ophtalmoscope and some of his other contributions to ophtalmology, Hist Ophthal Intern, 2015.
Immagine: Ritratto di Hermann von Helmholtz ad opera di Ludwig Knaus (1881) (fonte: https://en.gallerix.ru/storeroom/1989738001/N/2380/…)
Da un articolo Facebook di Stefano Fortini