Fisica e Bellezza: Le Equazioni di Maxwell

«Se la natura ci conduce a formulazioni matematiche di così grande semplicità e bellezza, non possiamo fare a meno di pensare che siano vere.»
(Werner Karl Heisenberg, “Physics and beyond: encounters and conversations”, 1971)
Il 13 giugno del 1831 nasceva a Edimburgo il fisico e matematico James Clerk Maxwell, il padre della moderna teoria dell’elettricità e del magnetismo e uno dei fondatori della termodinamica e della meccanica statistica. Da molti considerato il più grande fisico teorico del XIX secolo, ha legato indissolubilmente il suo nome alla teoria dell’elettromagnetismo, elaborata in forma completa nel suo “Trattato sull’Elettricità e il Magnetismo” (“A Treatise on Electricity and Magnetism”), pubblicato per la prima volta a Oxford nel 1873. In questo volume compaiono, seppure in forma leggermente diversa rispetto a come vengono comunemente presentate oggi, le celebri equazioni di Maxwell.
In questo sistema di quattro equazioni differenziali vengono sintetizzate tutte le conoscenze teoriche e sperimentali precedenti riguardanti l’elettricità e il magnetismo e compare il termine della corrente di spostamento, che permise di superare una contraddizione presente nella legge di Ampère. Le equazioni di Maxwell permettono inoltre di prevedere l’esistenza delle onde elettromagnetiche, ovvero di oscillazioni di campi elettrici e magnetici in grado di propagarsi sia in presenza di un mezzo materiale sia nel vuoto.
L’esistenza di tali onde è stata dimostrata sperimentalmente da Heirich Hertz nel 1886 (sette anni dopo la morte di Maxwell) e la loro conoscenza è alla base di un grandissimo numero di tecnologie che usiamo quotidianamente: internet, telefoni cellulari, televisione, forno a microonde ed altre ancora. A proposito delle equazioni di Maxwell, il fisico tedesco dichiarò: «Non si può fare a meno di provare la sensazione che queste formule matematiche abbiano un’esistenza indipendente e una loro intelligenza personale, che siano più sagge di noi, persino più sagge dei loro scopritori, che ne ricaviamo più di quanto vi abbiamo messo in origine.»
Al di là dell’indubbia importanza scientifica, le equazioni di Maxwell sono considerate da molti fisici (e scienziati in genere) come tra le più belle di tutta la fisica. Il fisico austriaco Ludwig Boltzmann, uno dei fondatori con Maxwell della meccanica statistica, commentò l’opera del collega citando il Faust di Goethe: «War es ein Gott welcher diese Zeichen schrieb?» («Fu un Dio che scrisse questi segni?»).
Tra le diverse modalità in cui le equazioni di Maxwell possono essere espresse, quella che personalmente preferisco è la cosiddetta “forma locale” (simile a quella elaborata nel 1893 da Oliver Heaviside e pubblicata nella sua “Electromagnetic Theory”), ovvero:
∇ · E = ρ/ε₀
∇ · B = 0
∇ × E = – ∂B/∂t
∇ × B = µ₀ J + µ₀ ε₀ ∂E/∂t
La prima, nota anche come teorema di Gauss per il campo elettrico, lega il campo elettrico E alle sue sorgenti, ovvero le cariche elettriche, rappresentate dalla densità di carica ρ (carica per unità di volume).
La seconda, nota come teorema di Gauss per il campo magnetico, afferma che non esistono singole sorgenti del campo magnetico, indicato con B. In altre parole, dividendo una calamita non si ottengono un polo nord e un polo sud separati ma due nuove calamite, ognuna con il suo polo nord e il suo polo sud.
La terza, nota come legge di Faraday-Neumann-Lenz, descrive il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, ovvero che la variazione temporale di un campo magnetico determina la presenza di un campo elettrico. Tale legge costituisce la base teorica per la progettazione di numerosi dispositivi, quali i motori elettrici, i trasformatori e le bobine di risonanza.
La quarta, nota come legge di Ampère-Maxwell, lega il campo magnetico B alle sue sorgenti, ovvero le correnti elettriche, rappresentate dalla densità di corrente J (corrente per unità di superficie); mostra inoltre come la variazione temporale di un campo elettrico determina la presenza di un campo magnetico.
I simboli ε₀ e µ₀ indicano due costanti note rispettivamente come costante dielettrica del vuoto e permeabilità magnetica del vuoto. Infine, il simbolo ∇ (detto “nabla”) indica un vettore le cui componenti sono le derivate parziali (indicate con il simbolo ∂) rispettivamente rispetto a x, y e z, ovvero ∇ = (∂/∂x, ∂/∂y, ∂/∂z).
Ma qual è il ruolo dell’estetica in una teoria fisica? Secondo Paul Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933, «il ricercatore, nel suo sforzo di esprimere matematicamente le leggi fondamentali della Natura, deve mirare soprattutto alla bellezza» (Paul A. M. Dirac, “La bellezza come metodo”, 2018).
Sempre Dirac, parlando della teoria della gravitazione di Einstein, afferma che «tutto il suo modo di procedere tendeva alla ricerca di una teoria bella, una teoria come l’avrebbe scelta la Natura. Era guidato solo dal requisito che la teoria avesse la bellezza e l’eleganza che ci si aspetta di trovare in una descrizione fondamentale della Natura».
Per il filosofo e storico della scienza Pierre Duhem, «è impossibile seguire il percorso di una delle grandi teorie della fisica, vederla svolgere maestosamente e con regolarità le sue deduzioni a partire dalle ipotesi iniziali; vedere che le sue conseguenze rappresentano, fin nei minimi dettagli, una quantità di leggi sperimentali, senza essere sedotti dalla bellezza di una tale costruzione, senza sentire fin nel profondo che una simile creazione dello spirito umano è veramente un’opera d’arte» (Pierre Duhem, “La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura”, 1978).
In effetti tra scienza e arte ci sono molti più punti in comune di quanto comunemente si pensi. Sia l’artista sia lo scienziato osservano, astraggono, creano modelli. L’arte e la scienza si occupano, anche se in modo diverso, di investigare i fenomeni che ci circondano e di rappresentarli e descriverli mediante l’immaginazione e la creatività.
Ma quali caratteristiche deve avere una teoria fisica per essere considerata bella? Possiamo individuarne alcune:
1) Semplicità: di solito gli scienziati pensano (e sperano) che la soluzione più semplice ad un problema sia quella corretta, anche perché risulterebbe più comoda da utilizzare per fare previsioni;
2) Simmetria: la simmetria aiuta ad individuare connessioni tra diverse entità fisiche anche quando queste possono in un primo momento sembrare estranee. La simmetria tra il campo elettrico e il campo magnetico nelle equazioni di Maxwell (un campo magnetico variabile determina la presenza di un campo elettrico mentre un campo elettrico variabile determina la presenza di un campo magnetico) rivela che questi sono in realtà due aspetti di un’unica grandezza fisica: il campo elettromagnetico;
3) Universalità: una teoria viene tanto apprezzata quanto più questa è generale. Uno degli obiettivi della fisica è quello di ottenere una sorta di “teoria del tutto”, ovvero una teoria in grado di spiegare in modo unitario tutti i fenomeni fisici conosciuti. Tutto ciò che sappiamo sui fenomeni elettrici e magnetici è condesato nel piccolo spazio della tela del nostro artista;
4) Eleganza: anche una formula può essere elegante, ovvero gradevole alla vista in virtù dei simboli matematici utilizzati, ma anche in quanto particolarmente ingegnosa e pulita;
5) Meraviglia: si tratta del fascino e dell’ammirazione suscitati da qualcosa di eccezionale o straordinario. È qualcosa di affine al sentimento del sublime dell’arte e della letteratura romantica.
Nonostante si tenda a considerare i giudizi estetici come soggettivi mentre le valutazioni scientifiche come oggettive, il concetto di intersoggettività, ovvero il senso comune condiviso da due o più persone, che non è né completamente individuale né completamente universale, ci può aiutare a capire meglio cosa si intende per “bellezza” in fisica.
Ad ogni modo, così come nel processo di valutazione di un quadro, di un brano musicale o di un volto, intervengono elementi soggettivi, quali le proprie esperienze e le proprie emozioni, ciò accade anche quando ci si approccia ad una teoria fisica. Charlotte Brontë direbbe che «la bellezza sta negli occhi di chi guarda».
Bibliografia:
  • Oliver Heaviside, Electromagnetic theory, Ernest Benn Limited, Londra, 1893;
  • Emilio Segrè, Personaggi e scoperte della fisica classica, Mondadori, 1996;
  • Frank Wilczek, La leggerezza dell’essere: la massa, l’etere e l’unificazione delle forze, Einaudi, 2009;
  • Damian P. Hampshire, A derivation of Maxwell’s equations using the Heaviside notation, Philosophical Transactions of the Royal Society A, 2018;
  • Hunkoog Jho, Beautiful Physics: Re-vision of Aesthetic Features of Science Through The Literature Review, Journal of the Korean Physical Society vol. 73, 2018;
  • Paul Dirac, La bellezza come metodo, Raffaello Cortina, 2019.
Immagine: James Clerk Maxwell dopo aver completato la sua opera d’arte.
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